monica scafati


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L’Hortus Conclusus è dunque spazio di pensiero e spiritualità, di perenne rinnovo delle primavere, e delle anime. Il progetto di una natura che riconduca al paradiso edenico.

Il giardino è quindi un modello filosofico, come è particolarmente evidente nelle filosofie orientali in cui il quadro-giardino è rappresentazione astratta della realtà per essenzialità e intuizione.

Secondo i precetti dell’antico Shintoismo giapponese, tutti gli elementi in natura sono permeati da uno spirito divino (Kami), e le pietre, immobili e antiche, racchiudono al proprio interno l’energia accumulata nel lunghissimo tempo della loro esistenza, e hanno un’anima che dimora in esse.

Per questa ragione i giardini dei monasteri del Buddhismo Zen si realizzano con le pietre. Giardini secchi da contemplare, perché la contemplazione è quella pratica che consente di incorporare le qualità di ciò che si contempla, e nelle pietre risiedono poderose le qualità della divinità della natura.

L’Hortus Conclusus, e il Giardino Zen, sono luoghi di un’azione meditativa, portali per il ricongiungimento del sé individuale con la sacralità del tutto.

Ma come avviene che uno spazio diventi luogo di tutto questo?

[E’ nel primordiale gesto di tracciare forme geometriche elementari nello spazio, che lo circoscrivono e gli danno una misura, che lo spazio si istituisce e si compie come luogo. (Sartoretti I.)]

Esistono dunque atti fondativi universali che dotano lo spazio di senso, una forza ancestrale di forme ed elementi essenziali, un agire maieutico dell’uomo col suo ambiente, in una dinamica che nella filosofia occidentale successiva a Cartesio si risolve nell’antinomia tra natura e cultura, ma che in realtà lascia anche posto al tentativo lirico-poetico di rivendicare un legame.

Nelle filosofie orientali il rapporto tra l’uomo e l’universo, non pone in termini oppositivi il dualismo di natura e cultura, ed ogni esperienza, individuale o sociale, è reintegrata nell’unità primordiale del cosmo. L’universo è in un continuo processo di emanazione e riassorbimento.

Il processo mediante il quale il cosmo si è formato dal suo centro è rappresentato dal Mandala (dal sanscrito manda: essenza, e la: possedere, contenere), che è il cosmogramma della creazione periodica dei mondi, capace di penetrare nei ritmi del tempo cosmico spezzando le catene del Samsara (vita terrena e mondo materiale) e approdando alla trascendenza. Il Mandala è quindi un simbolo spirituale e rituale, un centro energetico di equilibrio, consapevolezza e purificazione, uno spazio sacro.

 

I Mandala sono generalmente realizzati con sabbie colorate, e distrutti intenzionalmente non molto dopo il completamento della realizzazione, per simboleggiare la natura mutevole dell’universo in cui il vitalismo della perenne rigenerazione è costantemente dimostrato dal suo stesso opposto, cioè dalla natura effimera e caduca delle cose materiali nella natura.

Questo stesso concetto di natura effimera e caduca è elemento concettuale di particolare rilevanza nei movimenti di Arte Povera e Land Art, che obbligano l’opera a rinunciare all’imperituro, ad accettare la vocazione transitoria, e la possibilità di esistere solo entro il tempo che la natura impiegherà a riassorbirle.

 

 

In considerazione della premessa fatta, la circostanza di realizzare all’aperto, in un luogo immerso nella natura, un’opera di Land Art che abbia per tema l’Hortus Conclusus, spazio per il culto di un altrove a cui ci si sente legati e ci si vuol ricongiungere, mi ha suggerito di disegnare un Mandala. Non con la sabbia, per altro inadatta all’ambiente esterno in caso di vento o pioggia, ma con le pietre, più adatte ma anche più coerenti rispetto al fine di rendere presenti e attive le energie degli Dei, degli antenati, e di tutte le ere e le forme del mondo. Le pietre del giardino Zen saranno la sabbia colorata del Mandala, e la forza della natura che gradualmente distruggerà anche il disegno di pietre, si sostituirà all’analogo gesto del monaco che nello spazio protetto del tempio incarna e simboleggia le dinamiche di emanazione e riassorbimento del cosmo spazzando via la sabbia.

 

Nel Mandala l’alternarsi dei colori nella sequenza di cerchi riveste significati fondamentali. L’atto del realizzare un mandala è azione meditativa e viaggio iniziatico. La coscienza metafisica, l’illuminazione e la rinascita spirituale, si perseguono per gradi e circonferenze successive che auto-proliferano dal medesimo centro attraversando lo spettro dei colori e delle dimensioni dell’io.

Sostituendo la sabbia colorata con le pietre, ma non rinunciando al colore, si utilizzeranno ciottoli colorati: bianco, che rappresenta il mentale-ideale, simbolo del contatto della nostra piccola mente con la mente suprema, e denota il desiderio di raggiungere una più elevata comprensione del divino nell’umano; l’azzurro, che rappresenta lo spirituale-sublime, l’intuizione che precede il manifestarsi; e un colore che contiene insieme rosso, arancione e marrone. Rosso per la guarigione da pigrizia e indolenza, arancione per la rinuncia al mondano in favore degli obiettivi spirituali, e marrone per i ricordi di suoli fertili e raccolti, di terre pronte a nuove semine, di vite che si aprono a nuovi solchi. Ricordi in cui l’anima riscopre se stessa, e ci suggerisce che qualcosa di noi era già lì dove siamo ora.

 

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